“Annamaria Ferramosca, poeta del primigenio presente”. Articolo di Francesca Innocenzi

Nata a Tricase, in Salento, residente a Roma da molti anni, Annamaria Ferramosca è un’autrice di grande rilievo nel panorama poetico contemporaneo; a ragione di ciò, la commissione di giuria del Premio letterario da me presieduto, “Paesaggio Interiore”, ha deciso di conferirle il premio alla carriera.

Ferramosca ha lavorato come biologa docente e ricercatrice, ricoprendo al contempo l’incarico di cultrice di Letteratura Italiana per alcuni anni presso l’Università Roma Tre. Ha all’attivo collaborazioni e contributi creativi e critici con varie riviste nazionali e internazionali e in rete con noti siti italiani di poesia. È stata ideatrice e per molti anni curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2punto0. È ambasciatrice per Italia e Puglia di Poetry Sound Library, mappa sonora mondiale delle voci poetiche.

Ha pubblicato undici libri di poesia, tra cui il recente Per segni accesi, Giuliano Ladolfi Editore, Premio Voci Città di Roma, selezionato al Premio Camaiore, finalista al Premio Lorenzo Montano; Curve di livello, Marsilio, Premio Astrolabio, finalista al Premio Camaiore; Other Signs, OtherCircles—Selected Poems1990-2008, libro antologico di percorso edito per Chelsea Editions di New York nella collana Poeti Italiani Contemporanei Tradotti (traduzioni di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti), Premio Città di Cattolica; Andare per salti, Premio Speciale ”Una vita in Poesia”al Lorenzo Montano, rosa del Premio Elio Pagliarani, finalista al Premio Guido Gozzano; Ciclica, La Vita Felice;Paso Doble, Empiria, volume bilingue di poesie a quattro mani, coautrice la poetessa irlandese Anamaría Crowe Serrano, che ha tradotto anche la raccolta Porte/Doors, Edizioni del Leone, Premio Internazionale Forum-Den Haag.

Sua è la cura della versione poetica italiana del libro antologico del poeta rumeno Gheorghe Vidican 3D-Poesie 2003-2013, CFR, che ha ricevuto il Premio Accademia di Romania per la traduzione.

È presente con testi poetici, recensioni e saggi critici alla sua scrittura in numerosi volumi collettanei, antologie e riviste italiane e straniere. Sue poesie, presenti nei più noti siti di poesia italiani, sono state anche tradotte, oltre che in inglese (Anamaria Crowe Serrano, Riccardo Duranti), in greco (Evanghelia Polimou), rumeno (Eliza Macadan), spagnolo (Antonio Nazzaro), turco (Mesut Senol), arabo (Sayed Gouda).

La poesia di Annamaria Ferramosca, che ha ottenuto attenzione e riconoscimenti a livello internazionale, canta per sprazzi e visioni le radici ancestrali del divenire collettivo; segue a ritroso il cammino verso l’essenza, che annulla le differenze e le divisioni tra gli uomini, così spesso disorientati dalla solitudine, dall’indifferenza, dalla violenza del mondo; adotta un linguaggio archetipico e nel contempo attuale, legato ad un sapere onnicomprensivo, dal mito alla scienza e alla tecnica. Il verso si snoda in un tempo atemporale, il dopo-prima del suono primigenio, denso, onomatopeico, pre-parola. E la lingua dei primordi, fono originario che ha il potere di unire tutte le forme di vita in un armonico cerchio, è proprio la poesia.

In particolare, con la sua ultima raccolta, Per segni accesi (Giuliano Ladolfi editore 2021), Ferramosca si distingue per un’ulteriore prova poetica estremamente densa di significati, richiami, messaggi. Come evidenzia Maria Grazia Calandrone nella prefazione, l’autrice percepisce la sottile «comunione terrestre di vivi e morti e altre forme viventi».

La suddivisione dell’opera in tre sezioni (le origini l’andare, i lumi i cerchi, per segni accesi) propone un progressivo climax verso un vertice che è esso stesso ponte, con il punto mediano che delinea la figura del cerchio: simbolo di un’unità e un’armonia esistenti come memoria ed auspicio. La «misura del cerchio» è quella volontà di coesione e di condivisione che sola può impedire l’inabissamento dell’umanità. L’univerbazione «fogliepietreanimali» esprime questa profonda unione tra gli esseri, composti della stessa sostanza, in una lettura del reale che scende fino agli enti microscopici (atomi, molecole), fondando l’indivisibilità tra spirito e materia.

Per sprazzi e visioni, l’io lirico canta l’ancestralità del divenire collettivo; segue a ritroso il cammino verso l’essenza, che annulla le differenze, le divisioni, le discordie, la sopraffazione da parte del più forte: «ibridi siamo e solo per amore/ ibridi camminiamo accanto per millenni/ lasciando a terra ibridi uccisi/ ibridi schiavi ibridi annientati/ il senso è oscuro o uno scuro/ disegno governa/ tutte le cadute le polveri/ i lumi le ricostruzioni». La ricerca intorno all’arché è condotta anche attraverso la terminologia delle scienze, nell’ottica di un sapere onnicomprensivo, che spazia dal mito alla tecnica.

Ritrovare l’origine significa nutrire una memoria di condivisione tra umani; e la poesia è lingua dei primordi, artefice e testimone del connubio tra le forme di vita. Affiorano così ricordi di un’età dell’oro, di una edenica armonia che permeava il tutto, prima che si edificassero muri divisori; reminiscenze dell’infanzia del mondo, dove il gioco è pienezza di senso; echi di un paesaggio mediterraneo come spazio mitico, fonte di inesausta narrazione: come nei racconti di Sheerazade, la parola-logos è in rapporto con la vita e con la morte. Si aprono a squarci bagliori di vissuto personale e immaginifici voli nel dopo. A livello globale si prefigura un futuro/passato in cui la deriva tecnologica cederà il posto al suono primigenio, denso e onomatopeico, alla pre-parola: «e noi/ presi alla sprovvista/senza nemmeno un ultimo selfie/ tornati nel deserto disorientati/ da babel imbarbariti/di nuovo a balbettare/ in smozzicate sillabe/bar bar bar».

Non mancano amari scorci di un’umanità disorientata dalle nebbie della solitudine, dell’indifferenza, dalla perdita del verbo originario. La distruzione che colpisce inesorabile flora e fauna – si vedano i versi di vita da riscrivere – è emblema di un male pervasivo, di una deflagrante disarmonia. Del resto, la condizione umana è perennemente precaria e in subbuglio; la transumanza, la migrazione le sono intrinseche: «noi, veri migranti/verso l’abisso». Non possiamo esimerci dall’abitare l’incerto, di vivere l’incontro come enigma. Il cambiamento ci accompagna silenzioso nelle cellule. E il ciclo di morte/rinascita, in quanto destino della specie e del pianeta, coinvolge la materia tutta. L’immagine di copertina, realizzata da Cristina Bove, che raffigura un biancore di vela svettante in una marina notturna, rinvia efficacemente all’idea di moto nel tempo e nello spazio, all’incessante divenire che si fa promessa per il domani: «verrà l’oceano/verranno le sue vele/ saremo nuovi per nuovi continenti».

Cosa sono, dunque, quei segni accesi che baluginano dal titolo, avvio, veicolo ed acme del percorso? Essi provengono da epoche molto lontane, dagli albori dell’umanità; sono la via per la rinascita, per collegare la fine all’inizio; sono musica, nella riproduzione di tempi, ritmi e suoni, a modulare la parola che vivifica l’esistere, qui e ovunque, ora e sempre, affratellando l’uomo all’uomo e all’universo.

Selezione di testi

da Per segni accesi, Giuliano Ladolfi Editore, 2021

piega verso settentrione il cammino

un capriccio obliquo della luce

segue la pelle bruna    la scolora

azzurrisce occhi    fa chiari i capelli

larga piove bellezza sulla terra

e ci fa ibridi lungo i meridiani

ibridi siamo e solo per amore

ibridi camminiamo accanto per millenni

lasciando a terra ibridi uccisi

ibridi schiavi ibridi annientati

il senso è oscuro o uno scuro

disegno governa

tutte le cadute le polveri

i lumi le ricostruzioni

(finché il sole irradia si ripetono

incontro disincontro

i segni sulla sabbia    indecifrabili)

*

fare tabula rasa dei pensieri

affidarsi al buio

con la sicurezza dei ciechi

sostare ad ogni angolo della notte

afferrare i lumi al baluginare dell’alba

sulla bocca delle sorgenti

nel luccichio delle nascite

verrà l’oceano

verranno le sue vele

saremo nuovi per nuovi continenti

*

è l’alba    sulle onde arrivano

dal mare di mezzo

non barche ma    cesti di gelsomini d’africa

culle intrecciate con erbe di savana

lasciate andare alla deriva

– verrà salvezza dalle acque –

a navigare verso un luccichio di nevi

a nord l’approdo dove

una lupa bianca forse sarà pronta

ad allattare nati non suoi

nord che saprà ancora riconoscere

il respiro caldo delle origini

memoria del cerchio a piedi nudi

era prossimità    danza battente

all’unisono con il ritmo del cuore

*

salvataggio da babel

ascolta ora    questa voce

in mp3 recorded   devi ricordare

come alter voci   a milioni   per il dopo

potrai salvarle? – per il dopo – dico

il dopo del grande sisma   il grande

regolatore   quando

il dio economico sarà crollato

caduto in pezzi pure il dio robotico

torcendosi in sordi borborigmi

                           bor bor bor

e noi

presi alla sprovvista

senza nemmeno un ultimo selfie

tornati nel deserto   disorientati

da babel imbarbariti

di nuovo a balbettare

in smozzicate sillabe

               bar bar bar

*

un marzo silenzioso con

lance spuntate

non fa più la guardia alla mia veglia

sul balcone la tortora nel nido

insieme a me attende il buio    forse

anche lei inseguendo un ricordo

che si fa segno quando

cicale neonate spuntavano pallide da terra

veloci abbrunavano alla luce

e già con furia finivano sapendo

la brevità del canto

il mio allenarmi per il grande volo

è sostare su vecchie foto in bianconero

rivedermi in quel semisorriso

tra tutti quei cari scomparsi

che mi tendono le braccia    m’invitano

salgo    mi metto comoda sui cirri

sotto il capo un cuscino

di foglie di limone    all’uso greco

il volo è leggero    silenzioso

senza vuoti d’aria    senza direzione

l’orizzonte ha cancelli ossidati   cigolano

per poesie rugginose ancora da rivedere

password dimenticate

ho lasciato

tutte le chiavi appese dove sapete

i libri ordinati negli scaffali

fieri    ben stretti

ricordate    vorrebbero di tanto in tanto respirare

esigono    come tutti

di avere incontri    essere aperti

(non solo spolverati)

*

È vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autrice. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe», n°01/2023 unitamente al link dove l’opera si trova.


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: