
Molte notizie relative al periodo veneziano di Foscolo, che precedono direttamente la stagione dell’Ortis, ci giungono dalle sue epistole. L’autore mostra un ritratto di sé da cui emergono tratti di ascendenza alfieriana caratterizzati da un’indole sdegnosa, corrucciata e incline alla malinconia. In altre, inviate al Cesarotti, affiorano temi come le sventure familiari, la solitudine, l’amicizia, la vita perseguitata e la morte. Da tutti questi elementi si palesa uno spirito dibattuto tra speranze, illusioni, passioni forti, momenti di estrosa vivacità alternati ad altri, opposti, impregnati di angoscia esistenziale, lamento elegiaco, profonda tristezza, prefigurazioni del personaggio appassionato dell’Ortis. Quando Foscolo, in giovane età, approda alla stesura del romanzo epistolare, ha già illustri antecedenti. La storia dell’infelice e giovane Jacopo, ardente di passioni patriottiche e consumato da una divorante passione amorosa, non è certo una mera imitazione né di Goethe ne“I dolori del giovane Werther”, né di Rousseaunella “Novelle Héloïse”, dai quali certamente ricavò alcune suggestioni ed elementi legati soprattutto alla struttura ma da cui si distacca ampiamente. Solo nella premessa alla sua ultima edizione spende alcune parole sul raffronto con il Werther goethiano, dalle quali possiamo evincere lo spirito tutto foscoliano. Mentre il Goethe meditò a lungo sull’opera e poi la stese di getto, l’Ortis è il diario delle sue angosciose passioni proprio come lui le provava di giorno in giorno. Nel Werther la molla dell’azione dall’inizio alla catastrofe è soltanto l’amore, in lui invece è rappresentata una gamma variegata di sentimenti umani rapportata alle condizioni storiche e alle delusioni politiche: desideri, illusioni e disinganni si rincorrono. Se Goethe riversa nel suo personaggio solo qualche aspetto della sua vita, Jacopo Ortis invece è il Foscolo stesso al cui nome egli è indissolubilmente legato. Tutto ciò si può facilmente dimostrare analizzando la storia delle vicende per le quali l’opera passò. A diciotto anni Foscolo concepisce, mentre si trovava nei colli euganei, l’idea di un romanzo epistolare, “Laura, lettere”, che compendiava le sue prime delusioni d’amore. Due anni dopo a Bologna, dopo il trattato di Campoformio e la bruciante passione per Teresa Monti, diede all’opera il titolo che conosciamo amalgamandovi suggestioni di matrice roussoiana, (come emerge dal nome Jean Jaques che Foscolo traduceva Gian Jacopo), ma anche a un fatto di cronaca: Ortis era infatti il cognome di uno studente morto suicida a Padova. Mentre il Foscolo combatteva in varie parti d’Italia con gli eserciti rivoluzionari dopo aver lasciato Bologna, nel 1800 si innamorò di Isabella Roncioni, promessa sposa ad un altro, traendo da quest’esperienza l’ispirazione per proseguire la sua opera giovanile (pubblicata arbitrariamente, come è noto, da un certo Sassoli con il titolo di “Storia di due amanti infelici”). Nel 1802, a Milano, integrò le pagine già scritte ma si accorse che la vicenda del giovane suicida non esprimeva più interamente il suo stato d’animo. Vagheggiò così la stesura di un’altra opera in cui poter rispecchiare più fedelmente se stesso senza però indossare la maschera tragica del suicida. Voleva intitolarla “Sesto tomo dell’io”, storia di un anno intenso della sua vita, il 1799-1800, fatto di amori, battaglie, un ferimento nell’assedio di Genova, le peregrinazioni nell’Italia invasa da eserciti stranieri. E’evidente che Foscolo volesse riportare toni ben diversi da quelli dell’Ortis, arricchendoli con l’ironia e la mutevolezza di impressioni e opinioni per mostrare il suo processo di maturazione. L’opera non fu portata a termine, ma le pagine stese non risultarono inutili nella prosecuzione dell’Ortis a cui egli tornò dopo la caduta del Regno italico e il ritorno a una situazione simile a quella degli anni di Campoformio. Foscolo abbandonò l’Italia per affermare la sua libertà di scrittore, divenne esule come Jacopo e gli affidò i suoi pensieri, in particolare quelli presenti in un’opera polemica di carattere politico rimasta senza compimento, “Della servitù dell’Italia”. Nell’Ortis entrarono questi discorsi come risulta chiarissimo nella lunga lettera del 17 marzo in cui afferma con veemenza l’incapacità degli Italiani a trovare la motivazione per ribellarsi dall’asservimento straniero.
Gridano d’essere stati venduti e traditi: ma se si fossero armati, sarebbero stati vinti forse, non mai traditi; e se si fossero difesi sino all’ultimo sangue, né i vincitori avrebbero potuto venderli, né i vinti si sarebbero attentati di comperarli. Se non che moltissimi de’ nostri presumono che la libertà si possa comperare a danaro; presumono che le nazioni straniere vengano per amore dell’equità a trucidarsi scambievolmente su’ nostri campi onde liberare l’Italia!
Ancora si veda questo passo in cui evidenzia l’inerzia delle classi dirigenti e dell’intellighenzia.
L’Italia ha de’ titolati quanti ne vuoi;[…] I medici, gli avvocati, i professori d’Università, i letterati, i ricchi mercatanti, l’innumerabile schiera degl’ impiegati fanno arti gentili, essi dicono, e cittadinesche; non però hanno nerbo e diritto cittadinesco.
Questo passaggio sarà ripreso nel passo dei “Sepolcri” (vv.142-145)
Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,/Decoro e mente al bello Italo regno,/Nelle adulate reggie ha sepoltura/Già vivo, e i stemmi unica laude.
Gli esempi dimostrano che, rispetto alla compattezza dei suoi capolavori, forse l’Ortis può apparire caotico ma in realtà contiene in nuce tutti i motivi topici foscoliani senza i quali forse non si potrebbero comprendere le opere maggiori. Dietro questa forma imperfetta e abbozzata della sua poetica il protagonista è un tutt’uno con l’autore che prorompe dalle pagine con il suo potente individualismo, con la sua passionalità, con un’enfasi retorica arricchita di riferimenti culturali classici, proponendo al lettore un ritratto che può amare o odiare. L’Ortis ha una grande complessità di relazioni con la vita dell’autore che si compendia nella famosa affermazione nell’epistola al Cesarotti del 12 settembre 1802:
«fra un mese avrai in nitida edizione pari a questa una mia fatica di due anni, ch’io chiamo il libro del mio cuore. Posso dire di averlo scritto col mio sangue; tu ergo ut mea viscera suscipe. Da quello conoscerai le mie opinioni, i miei casi, le mie virtù, le mie passioni, i miei vizi, e la mia fisionomia».
Parte integrante del nuovo Ortis fu poi la Notizia bibliografica in cui tentò di spiegare l’opera e il suo significato. In buona sostanza l’Ortis ci rappresenta lo specchio della vita foscoliana non in un solo momento della sua esistenza relegata all’età giovanile. Il fatto che l’opera sia continuamente in fieri, palesa chiaramente la necessità da parte dell’autore di rivederla, di correggerla, di completarla. La critica moderna ha poi analizzato le lettere d’amore rivolte a Antonietta Fagnani Arese e vi ha riscontrato una perfetta e fittissima corrispondenza con i sentimenti espressi da Jacopo nei confronti di Teresa, nel romanzo. Ecco alcuni esempi:
Epistola: “Non ho niun soccorso negli uomini, niuna consolazione in me stesso. Ormai non so che ricorrere al Cielo e pregarlo con le mie lacrime, e cercare conforto fuori di questo mondo dove tutto ci perseguita e ci abbandona. Credimi, mia Antonietta, se il mio pianto, se le mie preghiere, se i miei rimorsi, se il dolore profondo che è fatto carnefice ormai di questo povero cuore, fossero rimedi bastanti per te, tu saresti risanata, ed io ringrazierei i miei tormenti”
Ortis : “Non abbiamo piú niun soccorso dagli uomini, niuna consolazione in noi stessi. Omai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co’ miei gemiti, e cercare qualche aiuto fuori di questo mondo, dove tutto ci perseguita o ci abbandona. E se gli spasimi e le preghiere e il rimorso, ch’è fatto giá mio carnefice, fossero offerte accolte dal cielo, ah! tu non saresti cosí infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti”.
Epistola: “Mi sono gettato su quel letto, e mi sembrava ancora caldo dell’orma del tuo corpo divino…mi sembrava ancora odoroso. Oh primo giorno! Come tu sei stampato nel mio petto!”
Ortis: “Mi sono prostrato, o mia Teresa, presso a quel tronco, e quell’erba ha dianzi bevute le più dolci lagrime ch’io abbia versato mai; mi pareva ancora calda dell’orma del tuo corpo divino; mi pareva ancora odorosa. Beata sera! come tu sei stampata nel mio petto!”
Epistola: “Tutto è follia, mia tenera amante, tutto purtroppo! E quando anche il soave sogno de’nostri amori terminerà, credimi, io calerò il sipario; la gloria, il sapere, l’ amicizia, le ricchezze, tutti i fantasmi che hanno recitato fino ad ora nella mia commedia, non fanno più per me”
Ortis: “Tutto è follia mia dolce amica; tutto pur tropp! E quando il mio sogno soave terminerà, quando gli uomini, e la fortuna ti rapiranno a questi occhi, io calerò il sipario: la gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, tutti fantasmi che hanno recitato fino ad ora nella mia commedia, non fanno più per me”.
È evidente una deliberata scelta di Foscolo di trasferire completamente la propria vita nell’arte che dal punto di vista tematico si traduce nei motivi essenziali della sua poetica. Anche lo stile è variegato e composito, passa dai toni drammatici e patetici a quelli espositivi e distesi, come se lo scrittore trovasse la soluzione dei suoi conflitti in questi elementi apparentemente discordanti. La continua revisione di Foscolo ha trovato un sostegno notevole sia nel suo esercizio epistolare, sia nella lettura e traduzione di Sterne, di cui conosce le opere intorno ai vent’anni. Mentre si trova a Calais al seguito dell’esercito napoleonico fu a stretto contatto con dei prigionieri inglesi da cui ricevette l’originale del romanzo “La vita e le opinioni di Tristram Shandy gentiluomo”. Sterne è un autore è molto diverso da lui proprio per la comicità e l’ironia intrinseche alla sua poetica. Stranamente Foscolo conosce anche l’inglese, (mentre tutti gli intellettuali all’epoca conoscevano solo il francese), così decide di tradurre Sterne. Non sceglie il Tristram, ma un altro libretto, il “Viaggio sentimentale” che era, come dice il titolo, un diario di viaggio fatto dall’autore tra Francia e Italia. Foscolo inizia la sua traduzione nel 1805 a Calais, ma poi l’abbandona e la rifà da cima a fondo a Firenze, poi la pubblica a Pisa nel 1813 con il titolo “Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia, traduzione di Didimo Chierico”. Quando Sterne aveva pubblicato l’opera, l’aveva attribuita ad un personaggio fittizio di nome Yorick, come il buffone di una famosa scena dell’Amleto di Shakespeare. Foscolo è molto attratto dall’umorismo di Sterne e dall’atteggiamento di Yorick, che si contrappone all’immagine stereotipata del viaggiatore settecentesco e guarda al comportamento degli uomini evidenziandone l’incoerenza. Foscolo, imitando Sterne, attribuisce la traduzione ad un fantomatico letterato chiamato Didimo Chierico, eccentrico personaggio che vestiva da prete senza aver assunto gli ordini sacri, aggiungendo in fondo alla traduzione la “Notizia intorno a Didimo Chierico”. Sostiene di aver ricevuto da lui il manoscritto con la preghiera di pubblicarlo. In realtà Didimo è l’autoritratto di Foscolo maturo, mentre l’Ortis era stato il suo ritratto giovanile. Dall’epistolario di Foscolo è possibile estrapolare dei riferimenti alle difficoltà che incontrò nel tradurre, che gli pareva un’impresa servile. A suo parere, la traduzione non doveva essere un atto puramente meccanico ma possedere qualcosa di originale, essere una cosa sua propria, l’aspira a comporre una figura in cui riconoscersi e farsi riconoscere. Non ha ancora terminato l’Ortis e già nasce in lui l’idea di un secondo alter ego, (che non aveva portato a compimento nel “Sesto tomo”), più maturo e più savio. Questa nuova maschera foscoliana acquista il suo senso posta in relazione all’Ortis. Didimo è infatti l’anti Ortis o meglio, l’Ortis sopravissuto, divenuto letterato, traduttore, commentatore, con lo stesso animo di un tempo ma totalmente disincantato. È un personaggio che si mostra estraneo ai tempi, eppure ne vive le contraddizioni, ha vissuto la durezza della vita militare, ha conosciuto la vanità e la supponenza di intellettuali eruditi, ma a sua volta recita la parte del pedante esprimendosi ironicamente con un linguaggio dotto e obsoleto, ha vissuto una giovinezza appassionata ma col tempo ha ridimensionato le sue pulsioni come testimoniano queste parole nella “Notizia”:
Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana.
Esiste poi un differente punto di vista in cui si pone l’autore: Ortis è Foscolo in prima persona, Didimo, (questo è l’elemento caratterizzante dello scritto autobiografico), parla come un’altra persona. Didimo viene tenuto a distanza come se lo scrittore volesse fare ammenda della sua intemperanza giovanile per dare una nuova immagine di sé, lucida, disincantata e verace.In luogo della scrittura delle passioni tristi di Jacopo il nuovo scritto contiene l’osservazione delle cose del mondo, un nuovo tipo di ironia che è il patrimonio di Yorick trasmesso a Didimo che adotta un punto di vista meno doloroso e tragico della realtà sostituendo i giudizi perentori, l’intransigente moralismo, i toni oratori e ampollosi a una visione mite velata di ironia. Alcuni stralci della “Notizia” presentano così Didimo:
Insomma pareva uomo che essendosi in gioventù lasciato governare dall’indole sua naturale, s’accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana. E forse aveva più amore che stima per gli uomini;
Ma pareva, quando io lo vidi, più disingannato che rinsavito; e che senza dar noia agli altri, se ne andasse quietissimo e sicuro di sé medesimo per la sua strada, e sostandosi spesso, quasi avesse più a cuore di non deviare che di toccare la meta.
Jacopo vive nell’aspirazione continua ai miti di perfezione, nell’esasperazione di sentimenti e passione politica. Didimo, in una sua personale autarkeia, accetta la felicità modesta e relativa che si può ricavare dalle proprie esperienze quotidiane. Non sono però che due aspetti che convivono nella personalità foscoliana, da una parte la ricerca dell’ideale, dall’altra l’accettazione intelligente e saggia della quotidianità.
- Caretti Lanfranco, Ugo Foscolo, Milano, Garzanti 1969
- Fubini Mario, Ortis e Didimo, Milano Feltrinelli 1963
- Barbarisi Gennaro, Le postille di Didimo Chierico al “Viaggio sentimentale”, in Giornale Storico della Letteratura Italiana; Torino Vol. 135, Fasc. 409, 1958
- Matteo Palumbo, Jacopo Ortis, Didimo Chierico e gli avvertimenti di Foscolo “Al lettore” Source: MLN , Jan., Vol. 105, No. 1, pp. 50-73 Published by: The Johns Hopkins University Press, 1990
- Ferroni Giulio, Storia della letteratura italiana, dall’Ottocento al Novecento, Einaudi, Milano 1991
- Foscolo Ugo, Notizia intorno a Didimo Chierico, CURATORE: M. Fubini http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ 2001 TRATTO DA: “Opere” di Ugo Foscolo Edizione nazionale sotto gli auspici del Ministero della P. I. Firenze, Le Monnier, Vol. V: Prose varie d’arte
- Foscolo Ugo, “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, Milano, Bur Rizzoli 1999
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