
(l‘anima, questo dura: dire che è, che fu così,
che fu per sé, per sempre dire)
Sogno di quella me, di quella forza
per sollevarla al cielo con un accento, il mio –
avvenuto nuovo
nel germogliare lei dalle mie mani, io
dal suo tronco
come viticci aperti in una pianta sola
lei donna, io Demetra e lei piccola Core,
giù nell’ade nostrum
E ancora, inizi: i giorni e i tempi nuovi
che baciati attendono, lei aspettava,
lavava i giorni dal passato nell’acqua del futuro
e si tuffava, felice al suo fluire.
Una loro punta è detta là, il f i or i r e in cielo
di passiflora e quercia, o di sambuco
non senza averla vista (da vicino)
così che il primo n o i diventi luce
e immensità del cuore, se non già nostre,
a mani e piedi già divise, s i a m o n a t e.
Il canto degli uccelli non è poi natìo, è
q u i dentro n o n già del nostro cielo.
Avremo bisogno di sorgenti vive, n o i
di racconti dove la storia ci sistemi,
intime e care, abitare per noi la stessa luce.
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